L’anno scorso abbiamo dato una mano nella diffusione del Questionario Q+ promosso da Coming-Aut LGBTI+ Community Center APS di Pavia.
Si trattava di un sondaggio per indagare il fenomeno dell’accesso alle cure ginecologiche e rilevare eventualmente difficoltà, paure, dubbi, discriminazioni, o all’opposto, esperienze positive, alla medicina preventiva, alle cure di routine e di emergenza o ai servizi sanitari legati alla salute ginecologica nella popolazione di persone lesbiche, bisessuali, trans*, non binarie e asessuali.
Le persone rispondenti sono state 1078 di cui per la maggior parte donne cisgender (77,18%), seguite da persone non binarie (13,54%); l’orientamento sessuale prevalente de* partecipanti è bi/pansessuale (35,06%) seguito da eterosessuale (32,47%); il 60,58% delle persone si trovano in coppia monogama; la maggior parte delle risposte proviene da una fascia d’età compresa tra 19 e 35 anni (67,07%), seguite dalla fascia 35-50 (26,81%).
Il quadro che viene delineato vede una popolazione che ha delle difficoltà a prendersi cura del proprio benessere sessuale, il 9,83% non è mai andatƏ da specialistƏ in ginecologia e il 36,87% non accede al servizio da oltre 12 mesi.
I servizi per HPV non raggiungono i bisogni delle persone
L’accesso alle vaccini sempre più in calo negli ultimi anni vedono ulteriori problemi quando si tratta di Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST) tra queste l’HPV è uno di quelli che più di tutti ne fa le spese.
Un vaccino che è proposto in gratuità a un solo genere e in una fascia di età molto definita (fino ai 26 anni) ma che sta dimostrando la sua utilità per tutta la popolazione specialmente nella riduzione delle complicanze. Lo studio riporta che delle persone che hanno fatto il vaccino la maggior parte sono rientrate nell’offerta gratuita ma tra quelle che non sono rientrate nelle tempistiche non è stato proposto nemmeno nella soluzione a pagamento anche se per molte che hanno rinunciato il costo troppo alto è stato una delle principali motivazioni a desistere.
Sostenere la riduzione delle barriere all’accesso per i servizi di prevenzione non ha solo un impatto sulla salute individuale ma anche sul benessere collettivo e la riduzione della spesa pubblica.
Omolesbobifobia nei servizi sanitari
Eh si, il tema dello stigma permea tutti i contesti sanitari e i servizi di ginecologia non fanno eccezione.
Sono ancora tante, troppe, le persone che non fanno coming out con le persone specialiste ma sono ancora più quando si tratta di soggettività invisibilizzate come persone non binary (63%), bisessuali/pansessuali (61%) e asessuali (78%).
Quanto impatta sulle scelte di prevenzione e cura ad oggi non è possibile dirlo ma in un momento come questo in cui in vari contesti clinici si teorizza una “medicina centrata sul paziente” siamo ancora lontani dal creare degli ambienti clinici davvero accoglienti e supportivi delle soggettività LGBTQIA+.
Ancora peggio se ci concentriamo sul misgendering, il disconoscimento dell’identità della persona, lì il bisogno di formazione del personale amministrativo e clinico è massima. Lo studio infatti evidenzia come l’89% delle persone trans* abbiano subito almeno una volta misgendering dal personale del CUP e il 69% dalle figure ginecologiche. Questo mostra come un ambiente impreparato ad accogliere tutte le persone sulla base delle proprie caratteristiche porti poi a un livello alto di disagio a attraversare i servizi e la rinuncia a prendersi cura di sè e del proprio benessere.
Infatti, Se nel caso delle donne cis emerge che il livello di disagio rilevato è nella maggioranza dei casi lieve o moderato, il dato è totalmente inverso nel caso delle persone non binary e trans* arrivando a una percezione di disagio molto alto in quasi la metà delle persone trans* rispondenti.
Ancora più grave che nelle forme di disagio riportate si nominino molestie e incapacità di interagire con il dolore della persone.
Che dire? Si può fare di meglio, ma come?
In primis, formazione, formazione, formazione! per tutte le persone che interagiscono con l’utenza sia tra medicƏ e infermierƏ che nel personale amministrativo che è quello che mostra le peggiori lacune.
Inoltre strutturare servizi che siano davvero in grado di garantire la privacy delle persone dallo sportello fino alla sala visita, passando dalle sale d’attesa, può aiutare a ridurre il livello di disagio percepito ed incentivare le persone a attraversare con maggiore agio i contesti ospedalieri.
Le scelte strategiche nazionali sulla proposta di servizi ha poi un impatto importante sulla salute collettiva e la riduzione dei costi per la sanità pubblica e in termini di qualità di vita delle persone.