I nativi digitali sono gli studenti, i giovani d’oggi. In poche parole, le nuove generazioni: tanto esaltate quanto bistrattate. Multitasking e always on. Ragazzi e ragazze sempre connessi/e. Per informarsi, chattare, creare e condividere contenuti, partecipare a discussioni, assistere a eventi in streaming, per lavorare. E noi, sopravvissuti al 2020, lo sappiamo bene.
Ovviamente, come ormai risaputo, varie sono le problematiche relative al Web, che riguardano giovani e non. A partire dall’invasione della privacy, fino a trasposizioni sulla rete di fenomeni già esistenti nel mondo reale: cyberbullismo, cyberstalking, molestie sessuali online.
Ma uno dei fenomeni forse un pò troppo sottovalutati, soprattutto tra i giovani, è quello del catfishing. Spesso è proprio da questo che iniziano gli incubi peggiori per molti adolescenti.
Si tratta di utenti, che per varie motivazioni, creano un’identità social falsa, utilizzando foto di altri, informazioni non veritiere, per instaurare interazioni – e di conseguenza relazioni – con altri utenti della rete, vicini e/o lontani.
Le motivazioni possono essere rappresentate su una sorta di continuum che va dal semplice divertimento o da un senso di timidezza nel mostrare la vera e propria identità fino a questioni più gravi: finalità di estorsione di denaro, minacce, vero e proprio cyberstalking, molestie sessuali.
Molti dei problemi seri che abbiamo elencato prima possono quindi partire da un semplice e casuale incontro online. Incontri sospetti a cui spesso non prestiamo l’attenzione che meritano e che possono trasformarsi in questioni molto più serie.
Ma, ad oggi, quanto i giovani sono coscienti del problema? Quale l’arma per difendersi?
Nativi digitali e catfishing: dati
Nel 2020 è stato condotto uno studio sull’argomento da Giffoni Innovation Hub e un’importante azienda che opera nel mondo della sicurezza informatica, Kaspersky.
Innanzitutto, la ricerca ha evidenziato la questione dell’età sempre più bassa dei ragazzini che si affacciano al mondo dei social: il 40% apre il primo profilo social entro i 12 anni; l’80% entro i 14.
Il dato preoccupante è quello che riguarda l’esperienza personale che i giovani hanno del fenomeno catfishing. Sei intervistati su dieci hanno infatti dichiarato di aver incrociato almeno una volta un profilo falso.
Da qui, l’importanza di diffondere conoscenza e informazione sull’argomento, in modo che si abbiano gli strumenti adatti a muoversi nella rete con coscienza e a saper distinguere chi sfrutta funzionalità e potenzialità della rete per scopi altri.
Di contro, dati confortanti riguardano proprio il grado di importanza che i giovani danno alla necessità di informarsi sul fenomeno catfishing e la serietà che viene riconosciuta allo stesso. Il 65% giudica fondamentale informarsi, l’85% è cosciente della serietà del problema.
Le ragazze sono un passo in avanti: sono le più preparate sul tema (62% contro il 43%); il 73% di loro, inoltre, ritiene importante sapere con chi sta chattando (contro il 50% dei maschi). Ora, però, cambiamo prospettiva.
Il 44% dei nativi digitali partecipanti allo studio ha dichiarato di aver utilizzato almeno una volta un profilo falso sui social.
La maggior parte l’ha fatto per divertimento, per commentare e caricare contenuti in libertà. L’8% l’ha fatto per timidezza, il 5% per aumentare engagement sul proprio profilo personale.
Il 2 % ha creato un profilo social falso per comportarsi da vero e proprio hater. Sulla possibilità di approfondire aspetti di educazione digitale a scuola si dibatte da un po’ di tempo, senza però dare all’argomento la giusta attenzione. L’impressione è che dedicare tempo a questioni che riguardano il Web sia più necessario di quanto si pensi. Solo il 29% dei nativi digitali ha dichiarato di aver parlato dell’argomento con gli insegnanti. Una percentuale troppo bassa visto il contesto di iperconnessione in cui siamo immersi.
Come per ogni problematica, l’arma è la sensibilizzazione. Parlare, discutere, imparare.
False identità in rete nativi digitali e carfishing: il docu-reality di MTV
Di grande successo è il docu-reality di produzione statunitense e in onda su MTV, “Catfish: False Identità” (ispirato e basato sul docufilm “Catfish” del 2010). Il programma TV conta ben 8 edizioni, con la prima in onda nel 2012 e ancora in produzione.
Al timone c’è Nev Schulman accompagnato da Max Joseph fino alla settima stagione, dall’ottava stagione invece da Kamie Crawford.
Nev e il suo collaboratore prendono in carico situazioni di persone che hanno dei dubbi sull’identità della persona con cui hanno una relazione basata su chat e/o al massimo telefonate. No videochiamate, no incontri fisici.
Si tratta di relazioni online particolari e controverse, che durano anni, che vanno a toccare altre sfere pericolose della rete quali il sexting. Relazioni che culminano anche in invio di denaro, manipolazione e tutte le altre problematiche accennate in precedenza.
Vengono quindi svolte delle ricerche, delle inchieste e si cerca di organizzare un incontro fisico tra i due interlocutori social. Non mancano colpi di scena e sorprese, così come focus sull’identità e le motivazioni di coloro che scelgono di essere altre persone sulla rete.
Per quanto il contenuto televisivo targato MTV segua logiche e dinamiche tipiche del medium televisivo, con ovviamente spettacolarizzazione e aggiustamenti della trama, mette in evidenza una problematica così diffusa tra i giovani d’oggi.
Un fenomeno così triste e complesso, sia per chi si ritrova ad avere a che fare con un profilo falso, sia per chi lo crea.
Conoscere, analizzare, ascoltare esperienze di altri (che ci sembrano incredibili, ma guai a giudicarle) aiuta a discernere, ad avere gli strumenti per affrontare nel migliore dei modi situazioni scomode, che possono iniziare quasi come uno scherzo e finire in un incubo.
Essere giovani nel 2021 significa sfruttare al meglio le possibilità che il Web ci offre, prestando però attenzione a rischi e pericoli di questo mondo ancora un po’ troppo libero e non ancora ben controllato e guidato da norme legittime ed efficaci.