Ho parlato di serie tv in più occasioni. Mi è capitato di farlo a seguito di una notizia di cronaca che raccontava del caso di una persona rimasta giorni e giorni davanti allo schermo fino a essere ricoverata, di trattare del binge watching, o di discutere del perché alcuni emulino atteggiamenti dei personaggi televisivi.
Questa volta, però, vorrei sottolineare il fatto che serie ben riuscite possono essere motivo di confronto con i coetanei e con i genitori oltre che avere una funzione educativa. Sex Education, trasmessa sulla piattaforma Netflix, è una di queste. Gli adolescenti la vedono, ne parlano. E credo che dovrebbero guardarla anche gli adulti, per iniziare a dialogare con i figli di sesso in modo meno inibito: per molti genitori affrontare il tema è ancora un tabù, per altri, invece, bisogna sì parlarne ma quando lo fanno temono di risultare impacciati. Non sapendo da dove iniziare, focalizzano la loro attenzione solo su un aspetto relativo alle prime scoperte del sesso nell’adolescenza. Jean Thompson, la madre di Otis, uno dei tre protagonisti sedicenni di Sex Education insieme Maeve ed Eric, è divorziata, è una psicologa e una sex therapist, ed è molto disinvolta nel trattare l’argomento con il figlio.
Certo, la professione che fa la aiuta e la fa apparire agli occhi degli amici del figlio come la madre che vorrebbero, ma questo a Otis crea imbarazzo: Jean, disinibita com’è, non perde occasione di analizzare ogni cosa o di fare domande “scomode” a tutti quelli che incontra. Mentre Otis, dal canto suo, rivendica il diritto adolescenziale di non affrontare con lei alcuni argomenti.
Non si lascia nulla di insondato in Sex Education: ci sono adolescenti insicuri, con poca autostima, scontrosi, bulli e vittime, giovani che credono di non meritare di avere un legame a causa del loro passato. Ci sono genitori impacciati, perbenisti, rigidi o assenti. Emergono i traumi che certi comportamenti dei grandi possono lasciare nei ragazzi, riversandosi poi sui loro approcci sessuali. Si parla di omosessualità, di video porno, di fobie, di paure. Si affronta anche il tema della finzione dell’orgasmo maschile, dell’eiaculazione precoce, e del piacere sotto ogni aspetto. E la cosa che emerge con maggiore forza da questa serie è il bisogno dei ragazzi di comprendere che cosa sta accadendo nel loro campo emotivo e al loro corpo quando iniziano le loro prime esperienze o quando non riescono a viverle. Tanto che Maeve, la ragazza punk emarginata dagli altri compagni, con una famiglia problematica e che vive da sola in un camper, dopo aver visto quanto Otis sia stato capace di rassicurare il bullo Adam, il figlio frustrato del preside della scuola frequentata da tutti i protagonisti della serie e “famoso” tra i coetanei per essere molto dotato, ha l’idea di creare dei momenti di incontro con gli studenti che hanno bisogno di fugare i loro dubbi sul sesso. Il terapeuta, per Maeve, deve essere Otis.
C’è poi un altro aspetto interessante che emerge da questa serie, aspetto su cui noi adulti dovremmo lavorare: il linguaggio che usiamo con i ragazzi. Deve essere simile al loro: semplice, con tanti esempi, metafore, senza troppi giri di parole. Deve essere alla loro portata, rassicurante, ma non accondiscendente quando non è il caso. È un equilibrio complesso da raggiungere, ma si può fare, anche osservando con occhio attento la crescita di Otis. Ma anche l’evoluzione di tutti gli altri personaggi della serie è davvero esemplare. Si deve poi parlare ai ragazzi anche dei rischi del sesso non protetto.
Di tutti i rischi, dalle gravidanze indesiderate alle malattie sessualmente trasmissibili senza dimenticare le ferite e i traumi emotivi con cui si dovrà fare i conti.
Sex Education non è banale, ed è un buon esempio di educazione sessuale. Materia che dovremmo trattare di più, con i dovuti modi, anche sui programmi televisivi pubblici di servizio e nelle scuole oltre che in famiglia.