La letteratura internazionale evidenzia da anni quanto le minoranze (siano esse etniche, religiose o sessuali) siano soggette ad alti livelli di stress in molteplici contesti (familiare, lavorativo, sociale) proprio per la loro appartenenza ad uno status minoritario.
Ne sono un esempio i significativi tassi di depressione, ansia, ideazione suicidaria, patologie infettive e sistemiche, consumo di sostanze e rapporti sessuali a rischio che possono essere rintracciati in numerose fonti scientifiche.
Inoltre, è ampia la letteratura che si occupa nello specifico della comunità LGBTQIA+. La maggior parte degli studi sono in accordo nell’evidenziare il ruolo specifico di alcuni fattori di rischio quali lo stigma interiorizzato e lo stigma percepito dall’ambiente, di cui sono un esempio le discriminazioni subite che variano da atti violenti espliciti a microaggressioni.
Sappiamo ancora poco sulla complessità di questo fenomeno, che è in continua evoluzione e possiede caratteristiche biologiche, psicologiche e socio-culturali. Da queste premesse nasce il progetto di ricerca Stigma Stop, per raccogliere più informazioni possibili sullo stato di salute sessuale e psicologica della comunità LGBTQIA+ italiana, approfondendo possibili fonti di stigma sessuale e dati sulla prevenzione delle IST. In particolare, la ricerca ha fatto riferimento a 3 obiettivi specifici, valutando le differenze tra gruppi appartenenti alla comunità attraverso confronti per identità di genere e orientamento sessuale rispetto a:
1) Salute sessuale e psicologica
2) Stigma sessuale
3) Prevenzione e rischio IST
Dopo oltre 4 mila questionari, qui un sunto dei risultati raccolti rispetto al primo obiettivo:
SALUTE SESSUALE E PSICOLOGICA
Rispetto alla salute sessuale e psicologica la ricerca evidenzia livelli tendenzialmente medio-bassi per più di un terzo dell3 partecipanti, con una disparità significativa evidenziata sia per identità di genere, sia per orientamento sessuale.
Risultano più sofferenti quelle identità sessuali meno visibili come le identità non binarie e le identità che riguardano lo spettro asessuale (ACE) e bi-pan-polisessuale.
Da notare i livelli estremamente bassi di sofferenza psicologica negli uomini cisgender, che potrebbero essere dovuti in parte alla tendenza a dare poca attenzione alla sfera emotiva e psicologica, dichiarando di conseguenza meno sintomi di quelli effettivi (alessitimia).
STIGMA SESSUALE
Parte della ricerca STIGMA STOP ha messo a fuoco diversi livelli di stigma sulla sessualità.
In particolare: il pregiudizio verso l’HIV e lo stigma nei confronti delle persone che vivono con HIV, la percezione dello stigma sessuale interiorizzato, le esperienze di stress e discriminazione in quanto persona LGBTQIA+ rispetto alla popolazione generale, il supporto da parte della comunità LGBTQIA+, la capacità di costruzione di un’identità positiva e gli atteggiamenti moralisti verso la sessualità o specifiche tematiche legate alla comunità.
La ricerca è stata costruita anche per indagare specificatamente lo stigma subito e perpetrato all’interno della comunità LGBTQIA+ stessa, elemento innovativo e ancor poco studiato in letteratura scientifica.
Alcuni focus ad esempio vertevano sulle domande:
Gli uomini cisgender sembrano essere più stigmatizzanti nei confronti dell’HIV o delle persone LGBT, oltre a risultare generalmente più moralisti sulla sessualità.
Le persone questioning riportano livelli di stigma interiorizzato più alti e più bassi livelli di identità positiva rispetto agli altri gruppi.
Le persone transgender (binarie e non) riportano maggiori esperienze di stress e discriminazione.
Gli uomini cisgender riportano da un lato livelli più alti di identità positiva percepita, dall’altro, livelli più bassi di sostegno percepito dalla comunità LGBTQIA+ rispetto alle altre identità.
Gli uomini transgender e le persone non-binary riferiscono livelli più alti di stigma percepito da parte della comunità LGBTQIA+. Gli uomini transgender, cisgender e le persone non-binary riportano di essere più spesso stigmatizzanti nei confronti di membri della comunità LGBTQIA+ e di temi specifici rispetto al gruppo delle donne cisgender.
Le persone eterosessuali sono risultate tendenzialmente più stigmatizzanti rispetto all’HIV in confronto a tutti gli altri gruppi.
Le persone ACE riportano livelli più alti di stigma sessuale interiorizzato, seguite dalle persone bi-pan-polisessuali e omosessuali. Allo stesso modo, le persone che si identificano nello spettro ACE riportano maggiori esperienze di stress e discriminazioni relative alla propria identità sessuale fuori e dentro la comunità LGBTQIA+, seguite sempre dalle persone bi-pan-polisessuali e da quelle omosessuali.
Le persone lesbiche e gay riportano livelli più alti di identità positiva percepita come persone LGBTQIA+ rispetto agli altri gruppi .
I gruppi non si differenziano per il livello di supporto ricevuto dalla comunità e per lo stigma perpetrato all’interno della comunità LGBTQIA+ .
Le persone lesbiche e gay riportano livelli più alti di moralismo sessuale (paragonato alle persone Bi-Pan-Polisessuali) e di stigma verso temi LGBT.
PREVENZIONE E RISCHIO IST
Variabili indagate:
- Esperienza personale come membro della comunità LGBTQIA+ con il personale sanitario
- Frequenza di consulenze per la salute psicologica e sessuologica
- Storia pregressa di IST
- Frequenza di screening per le IST
- Frequenza d’uso di metodi barriera (condom, oral dam, femidom)
- Uso di PrEP (Profilassi Pre-Esposizione)
- Vicinanza dall’ultimo test HIV effettuato
- Status HIV
- Esperienze di Chemsex
Donne e uomini transgender riportano esperienze più negative nell’ambito sanitario rispetto agli altri gruppi, seguite dalle persone non-binary e dagli uomini cisgender.
Donne e uomini transgender riportano una maggior frequenza di consulenze psicologiche effettuate rispetto agli altri gruppi, seguite dalle persone non-binary, questioning e dalle donne cisgender.
Gli uomini cisgender riportano una più alta frequenza di screening per le IST rispetto a tutti gli altri gruppi. In seconda posizione per frequenza troviamo le persone non-binary. Questa tendenza viene confermata anche relativamente al test HIV.
Gli uomini cisgender riportano una più alta frequenza di IST nella vita rispetto a tutti gli altri gruppi e riportano con maggior frequenza di aver contratto l’HIV.
Gli uomini cisgender riportano una frequenza di utilizzo maggiore dei metodi barriera rispetto agli altri gruppi. Le donne cisgender riportano la frequenza di utilizzo più bassa rispetto a tutti gli altri gruppi.Gli uomini cisgender riportano un maggiore accesso alla PrEP rispetto a tutti gli altri gruppi.
Gli uomini cisgender e le persone non-binary riportano più spesso di aver avuto almeno un’esperienza di chemsex nella vita rispetto agli altri gruppi.
Le persone bi-pan-polisessuali riportano esperienze più negative nell’ambito sanitario rispetto agli altri gruppi.
Le persone lesbiche e gay riportano una frequenza più bassa di accesso alla consulenza psicologica rispetto agli altri gruppi.
I gruppi non differiscono fra loro per la frequenza di accesso alla consulenza sessuologica.
Le persone omosessuali riportano di fare test per le IST più spesso degli altri gruppi. Sono contrapposte alle persone che si identificano all’interno dello spettro ACE, le quali riportano la più bassa frequenza di accesso ai test diagnostici. Questo andamento è confermato per il tempo trascorso dall’ultimo test HIV e per la frequenza di IST.
Nel caso dell’infezione da HIV, troviamo più persone che dichiarano di essere positive nel gruppo omosessuale rispetto agli altri gruppi.
Le persone bi-pan-polisessuali riportano un più alto utilizzo di metodi barriera, seguite dalle persone omosessuali e dagli altri gruppi. In coda, con la minor frequenza di utilizzo di metodi barriera troviamo le persone asessuali.
Le persone omosessualiriportano un maggiore accesso alla PrEP rispetto agli altri gruppi e una maggiore frequenza di persone che dichiarano di aver fatto esperienza di chemsex nella vita.
Uno degli elementi contraddistintivi della comunità LGBTQIA+ è la rappresentazione di innumerevoli identità ed espressioni della sessualità, spesso diverse fra loro, accomunate dalla distanza rispetto all’espressione etero-cis-normativa.
Negli ultimi anni è stato evidenziato a livello internazionale come le identità meno visibili all’interno della comunità, quali le persone bi-pan-polisessuali, asessuali, non binarie e questioning, siano spesso sottoposte a livelli di stigma e stress più alti rispetto alle persone lesbiche, gay e transessuali, anche all’interno della stessa comunità.
Avere una minore visibilità significa anche essere poco rappresentat3 e ascoltat3 e, di conseguenza, avere a disposizione pochi strumenti specifici indirizzati ai propri bisogni (siano queste campagne di prevenzione, servizi sanitari e sociali).
I risultati di questa ricerca mettono in luce come le identità meno visibili riportino livelli di salute sessuale e psicologica più bassi e risultino più sofferenti.Inoltre, le stesse identità riportano una maggiore difficoltà di interazione con l3 professionist3 della salute a causa della paura, dello stigma e del pregiudizio da parte del personale sanitario. Questo elemento si collega direttamente alla necessità di una formazione più adeguata e sensibile ai temi dell’identità sessuale nel personale sanitario di tutti i livelli.
Al livello di letteratura internazionale, troviamo dati simili a questa ricerca, con una differenza importante: Negli altri paesi occidentali, questa quadro ha già portato all’applicazione di politiche sanitarie e sociali mirate, che differenziano il tipo di intervento proprio sulla base dei bisogni dei singoli individui delle minoranze.
In Italia persiste una difficoltà estesa nell’implementazione di servizi che possano essere specifici, accoglienti, rispettosi di tutte le identità sessuali, e soprattutto, più efficaci.
Di seguito il report integrale e scaricabile in pdf:
Si ringrazia Filippo Maria Nimbi, Ilenia Pennini e la Rete Salute Arcigay Nazionale per la realizzazione della ricerca e la redazione del report, i Conigli Bianchi per le grafiche contro lo stigma e ViiV Healthcare per il contributo non condizionante.