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COMING OUT DAY

Non tutti i coming out sono uguali. Alcuni sono difficili e dolorosi, altri sono molto più facili di quanto ci saremmo aspettat3. A volte, sono frutto di una nostra libera scelta. A volte, ci vengono imposti o avvengono in luoghi e contesti poco accoglienti.

Noi abbiamo scelto di raccontarvi quello di Charlie studentə universitariə, Michael Anthony insegnante, Lorenzo Ubaldo allenatore di Shaolin Kung Fu, Loredana e Marcella madri di Giorgia, Michele che vive con HIV in coppia sierodiscordante con Gianmarco.

Per testimoniare che è anche con la visibilità che si combatte il pregiudizio. Non c’è un giorno giusto per fare coming out. Ci può volere un attimo o anche tutta la vita. Rispettare i propri tempi, non forzarsi mai, è molto importante. Ma proprio per questo…

Ogni giorno è quello giusto, PER ESSERE SE STESS3!


“Dire o non dire, quando, come, a chi?
Per anni vivere con l’HIV ha alimentato un cruccio strisciante,
la sensazione di non potermi permettere mai veramente il lusso e la serenità di scegliere.

Poi sono arrivate la conoscenza, l’attivismo e la consapevolezza. E con loro la libertà del coming out, quella liberatoria sensazione di non avere nulla da nascondere e di potermi permettere sempre, quando voglio e con disarmante naturalezza, di fottermene dell’ignoranza altrui. Mi chiamo Michele e vivo con HIV dal 2008!”

Ph autoscatto di Michele e Gianmarco
“Il fatto di fare coming out con le mie figlie è stato il passepartout per il mondo. Una volta fatto coming out con loro mi sono sentita libera di farlo con il mondo” _Loredana

“Entrare nella famiglia della mia compagna (ora moglie) e delle sue figlie è stata una forte presa di responsabilità verso di loro e verso il mondo” _Marcella

ph Kay Marangoni
“Il coming out sportivo mi ha portato via parte di quel che stavo iniziando ad ottenere come allievi. Ma mi sta permettendo di vivere finalmente quel che ho e ho avuto. Ben prima di questo mi chiamavano cyborg: un essere dedito al dovere, obbediente, senza bisogno di riposo, cibo, riconoscimenti, efficace eppure mai abbastanza.

Il cyborg si è sgretolato con la pandemia, i social, il rendermi conto che non ero l’unico con un determinato vissuto. Con il coming out sportivo termino, a 30 anni, il lungo processo per tornare ad essere ciò che ho cancellato già intorno ai 4/5 anni.
Io sono Lorenzo Ubaldo Biscaglia Giancola e finalmente sono vivo.”

ph Marta Viola

“Mi chiamo Charlie. Mi chiamo Charlie per tutti, ma non per l’università. Sono unə studente e sono una persona non binaria. Ah, dimenticavo. Sono anche una persona con disabilità mentale. Sapete… non è così male come sembra.

Fare coming out in università è stato facile, almeno con i compagnз che non mi hanno mai chiesto quale fosse il mio nome anagrafico. Nonostante non potessi accedere alla carriera alias ho avuto professorз che hanno deciso di supportarmi, chiamandomi col nome d’elezione anche in contesti ufficiali.

Anche parlare della mia disabilità mentale sembrava difficile, ma ho trovato molte mani che si sono allungate per rendermi la vita più semplice senza farmi sentire sbagliatə. Mi chiamo Charlie, e non mi nascondo più.”

ph Massimiliano Fava
“Mi chiamo Michael Anthony, il mio coming out a scuola? In principio ero molto spaventato soprattutto lavorando nella remota provincia milanese, in terre non propriamente ospitali. Ma, col passare del tempo, mi sono deciso ad essere me stesso, senza finzioni né maschere e a impegnarmi a veicolare messaggi di rispetto dell’unicità di chiunque.

Anche in questo senso è stato un percorso di crescita che mi sento di condividere. Perché, e mi rivolgo a chi della nostra comunità insegna, è importante non nascondere chi siamo. Chiediamo e diciamo sempre allə alunnə di tirare fuori la loro vera essenza, perché noi non dovremmo fare lo stesso?”

ph Alice Readaelli