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A tu peer tu con Matteo

Matteo Gilli (pronomi maschili) ha 27 anni, vive a Ferrara, studia filosofia, lavora nel Petrolchimico ed è responsabile del Ferrara Checkpoint.


Nel settembre 2022 mi ero tesserato in Arcigay, ma non sapevo nulla di IST (Infezioni Sessualmente Trasmissibili). Una sera andai in una dark, ebbi diversi rapporti non protetti e, due giorni dopo, cominciai ad essere assalito dai sensi di colpa. Decisi di informarmi e mi dissero che per fare il test HIV dovevo aspettare 28 giorni. Sono stati 28 giorni difficili; anche se da fuori non mostravo emozioni,  in realtà mi ero addirittura convinto di avere l’HIV! Poi sono andato a ritirare il test e devo dire che la dottoressa dell’ospedale mi ha aperto un mondo, ovvero: come dare informazioni in modo non giudicante, tranquillizzante. Quello “sporco” che prima sentivo addosso, non c’era più. Da lì, sono andato ad Arcigay con la decisione di occuparmi di salute ed ho cominciato la mia formazione in Healthy Peers. 

L’obiettivo è stato quello di costruire ciò che a me era mancato: poter chiedere informazioni su HIV, su IST, su pratiche sessuali a una persona pari, che non ti giudica.


Si, da aprile 2023 è un servizio di Arcigay Ferrara e da fine dicembre 2024 è diventato Ferrara Checkpoint. Abbiamo una sede dove offriamo counseling e test rapidi per HIV e Sifilide, tutto gestito da operator3 pari. Inoltre, facciamo attività di sensibilizzazione coi banchetti in eventi vari.

La popolazione che raggiungiamo è generale: Ferrara è una città universitaria, per cui vengono molt3 student3, infatti, oltre che in sede, facciamo testing nei luoghi della “movida”. Inoltre, con un’associazione che si occupa di vittime di tratta e di chi svolge lavoro sessuale andiamo ogni tre mesi con l’unità di strada per offrire i test all3 sex workers.

Il passaggio dallo Sportello Salute al Ferrara Checkpoint è stato per noi molto importante perché abbiamo capito che il servizio che stavamo offrendo  sul territorio non era un semplice sportello ma un servizio organizzato e con aperture programmate mensilmente. E’ stato quindi un mutamento necessario che ha dato ancora più stabilità e concretezza, alle nostre azioni, soprattutto rispetto al territorio. 



Assolutamente sì. Credo che il linkage to care sia indispensabile nel caso di reattività dei test rapidi e non solo. Mi è capitato di dover comunicare delle reattività e, ovviamente, è molto importante saper gestire in primis la parte emotiva, perché la persona spesso piange o va nel panico.

Ma poi vanno date le informazioni corrette e, ultimo ma non meno importante, bisogna essere in grado di dare un riferimento con il reparto ospedaliero: l’utente deve uscire dal servizio sapendo che già domani avrà appuntamento con quel medic3. Noi, se richiesto, possiamo anche accompagnare le persone in ospedale.


Credo che sia molto importante lə medicə che la persona si trova davanti: avere qualcunə che sappia parlare un linguaggio inclusivo, che abbia un atteggiamento non giudicante e che riesca anche a comprendere il punto di vista della Community, fa davvero la differenza.

Ad esempio, se incontro una persona che vuole fare un percorso PrEP, io posso già contattare la dottoressa e prepararla al tipo di utente che sta per arrivare.


Le prime due criticità che mi vengono in mente sono: l’atteggiamento giudicante e la scarsa informazione, che sono ancora più negative se parliamo di malattie sessualmente trasmissibili.

In molti casi, anche medic3 infettivolog3 o dermatolog3 non sanno cosa siano la PrEP o U=U.

Inoltre, è raro che venga usato un linguaggio inclusivo nei confronti delle persone transgender, ad esempio, o che si eviti di chiedere a un3 sex worker che lavoro faccia. Atteggiamenti che spesso fanno sì che proprio queste, che sono popolazioni target, si allontanino dalle strutture sanitarie. 

Il rapporto con l’ambiente sanitario permette anche di mettere in luce eventuali atteggiamenti giudicanti agiti dai medici non sempre in maniera voluta. Questo lavoro è essenziale per produrre un cambiamento culturale che permetta alle persone della comunità
LGBTQIA+ di accedere ai contesti clinici con maggiore agio. 


Credo sia fondamentale tenere presente che noi e l’ospedale siamo due realtà molto differenti, con obiettivi e metodologie molto differenti. Il punto è trovare il contatto, il modo di lavorare insieme.

E’ importante mantenere un atteggiamento aperto e propositivo, anche quando l’altra realtà non arriva dove vorremmo.

Questo non significa che non dobbiamo fare presente quello che non funziona, ma ritengo che, mantenendo questo tipo di atteggiamento si possano trovare importanti momenti di collaborazione. Ad esempio, noi siamo stat3 coinvolt3 in un team che ha steso una procedura intraziendale per i percorsi ospedalieri sia per le persone che fanno la PrEP, sia per quelle che arrivano con diagnosi per altre IST.